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Lavoro e passione

**Attenzione: post estremamente personale e pieno di volgarità, maneggiare con cura.**

Non bisogna lavorare con passione, perché la passione è sofferenza.

Mi ritrovo a casa, con un discreto mal di collo e un braccio con tre bei segni grazie all’esame di ieri, e un sonno tremendo.
Ma soprattutto una grande incazzatura.
Incazzatura, si, visto che la stampa nazionale sdogana altro genere di termini, io uso questo perché rende perfettamente l’idea.
La frase di cui sopra ne è il motivo, e per una volta non ho proprio nessuna intenzione di starmene zitta e buona a fare le mie considerazioni senza condividerle con nessuno.
Perché sono stanca di quello che sento e che vedo, e non nessuna intenzione di accettarlo e conformarmi.
Non posso dire come sia lavorare in città diverse da Milano, e la mia esperienza è comunque limitata a un certo numero di aziende (un numero che si aggira intorno ai trenta).
Quello che ho imparato finora da queste esperienze è che la frase di cui sopra è proprio quello che vogliono insegnarti.
Fanno di tutto per farlo: contratti a termine, precari, al limite della legalità, stipendi da fame, disorganizzazione cronica, mezzi limitati o assenti, ambiente di lavoro al limite del mobbing, familismo amorale, raccomandazioni, prese per i fondelli limitate o globali, sfiducia parziale o totale, ritmi di lavoro stressanti, ritmi di lavoro inesistenti, totale autonomia che in realtà è totale indifferenza, responsabilità inesistenti, responsabilità riversate sul lavoratore per lavarsene le mani, controllo delle azioni sul lavoro ma totale indifferenza al risultato del lavoro stesso, tante piccole/medie/grandi aziende che alla fine sono in mano a padri/padroni che credono di poter decidere della vita e della morte dei loro dipendenti.
Quello che quindi ne dovresti dedurre è per forza di cose: fai il minimo indispensabile, non curati del lavoro perché non ne vale la pena, puoi solo ricavarne grosse delusioni.

La garzanti online riporta ben 6 significati del termine passione, di cui uno è il seguente:

inclinazione, interesse vivo per qualcosa: avere la passione della lettura, del gioco; avere passione per lo sport, per la musica; fare qualcosa con passione, con trasporto, con grande dedizione; fare qualcosa per passione, per puro diletto, non per guadagno.

Lavoro e passione dunque, in questa accezione, fanno a pugni: è la lingua italiana che lo dice.
Secoli di quel genere di atteggiamento che ho descritto sopra hanno inciso persino nel significato dei termini.

Care piccole/medie/grandi aziende italiane, vorrei dirvi due paroline.
Sarò molto poco italiana in questo, ma se non faccio qualcosa con vivo interesse preferisco non farla proprio.
E se mi mettete in condizione di lavorare male, di non essere giudicata per il lavoro che faccio ma per mille altre stronzate del cazzo che vi passano per quel cervellino bacato, se pensate di potermi fottere con contratti di merda o orari disumani, se credete davvero di potermi manipolare in un qualsiasi modo, ricordatevi sempre di una cosa: non mi toglierete mai la mia passione.
Il che vuol dire che non mi controllerete, non farò quello che volete, vi troverete sempre davanti un muro.
E prima o poi me ne andrò sbattendo la porta, non prima di avervelo messo almeno un po’ in culo.

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Discussione

  1. Chiara e decisa :brava ed aggiungo bene !!
    Davvero! E' giusto sfogarsi, ma sopratutto (e questa è la cosa più sconfortante e triste) è vero quello che hai scritto. E comprendo anche che per la tua esperienza (cito le 30 aziende..) la cosa può essere ancora più veritiera e comprovata nel tempo. Ci stanno portando ai matti ! E andassero a...... (Lo posso dire ? )... Affanculo.

  2. Bè, tutto sommato non posso lamentarmi (ma non è detto che non me ne vada sbattendo la porta, ci sono stato molto vicino in almeno un paio di occasioni) ;-)

    Tralasciando la disorganizzazione cronica e il focus sul profitto come unico criterio di vitalità dell'azienda, l'unica cosa di cui mi lamento è la scarsa possibilità di aggiornarsi (installare e sistemare sistemi desktop non è esattamente un lavoro intellettualmente impegnativo), il vantaggio è che lavorando in proprio posso ritagliarmi un po' di tempo per farlo.

  3. Boh, probabilmente vivo ancora nel paese dei balocchi, e credo che il profitto dovrebbe venire dopo la soddisfazione del cliente. La soluzione giusta è quella adeguata, non quella che ti fa guadagnare di più.

    Come dico sempre, giusto per adeguarmi al tono vernacolare introdotto dall'ospitale codice fiscale™, a incular clienti non si va mai troppo lontani ;-)

  4. eh si, non è sbagliato, ma è anche vero che senza il profitto non si va avanti. diciamo che è una questione di equilibrio. ci va la soddisfazione del cliente, il profitto, e pure la soddisfazione dei lavoratori.
    eh, utopia, sisi, diciamo che sono troppo pochi quelli che ci provano per dire che è utopia. ecco.

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