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#260 – Quattro anni e tre mesi

Come avevo già capito, l’avvocato mi ha confermato che il ricorso per avere anche l’ultimo stipendio non era fattibile, non essendoci i termini per farlo. E me ne sono fatta una ragione.
Ieri  dunque sono andata alla banca che mi aveva indicato l’INPS munita di carta d’identità, codice fiscale e IBAN, per farmi accreditare il famoso TFR.
Tanto per cominciare, mi è stato detto che sono stata fortunata, perché di solito c’è la coda fuori (il che, con un calcolo spannometrico, vuol dire che ci sono almeno 30/35 persone). Poi mi è caduto l’occhio sull’armadio in cui tenevano i faldoni per pratiche simili alla mia, e la persona, gentile e preparata, che stava gestendo la mia pratica, mi ha spiegato che quelle erano solo le pratiche in corso, che quelle già a posto le archiviavano.
Quelle pratiche si riferiscono a soli crediti da lavoro, se non ho capito male, e stiamo parlando di centinaia e centinaia di faldoni. Ho anche visto lo scatolone con quelle appena arrivate: non commento, perché mi sembra già sufficientemente chiaro.
La celere signora mi ha poi liquidato dicendomi: domani ce l’ha in conto.
E infatti così è stato.
Dopo quattro anni e tre mesi, ho finalmente rivisto quello che mi spettava, e comunque non tutto.
Quello che resta è la causa in Cassazione, ma non sarà una cosa celere.
In tutto questo, torno a chiedermi dove starebbero esattamente le famose tutele dei contratti a tempo indeterminato, visto che per ottenere questo risultato ho dovuto spendere tempo e denaro, e mangiare rabbia, e comunque non rivedere tutto quello che mi spettava.
Ma non ho nessuna voglia di fare polemiche di questo genere, e quindi mi fermo qui.

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