Ho scritto molte volte che mi sono sbattezzata ma non ho mai detto perché.
Ora mi sembra venuto il momento di spiegarlo.
E’ sottinteso che tutto quello che scriverò è soltanto a titolo personale; non cerco di convincere nessuno.

Dal punto di vista religioso, io sono agnostica.
Non è una posizione presa alla leggera, tanto meno una posizione di comodo, ma è frutto di anni di studi, non solo di teologia, e di anni passati a ricercare il dono* della fede che non è mai arrivato, col cuore aperto e frequentando persone che invece questo dono ce l’avevano.
Non sono atea perché credo di essere solo una persona, e in quanto persona di essere limitata, e che la mia ragione non possa dimostrare nulla, né l’esistenza né la non esistenza.
Credo che essere atei è pur sempre una scelta di fede; e io non ho fiducia nelle idee: posso avere fiducia nelle persone**.

Credo nella libertà di parola, nell’autodeterminazione, nel diritto delle persone a scegliere per sé stesse.
Credo nel diritto alla qualità della vita, a dare a tutti la possibilità di vivere dignitosamente, premessa fondamentale per poter scegliere con consapevolezza.

La decisione di sbattezzarmi proviene da qui: la Chiesa Cattolica si è dimostrata, ora più che mai, per quello che è: fondamentalista. Non a caso, il termine deriva proprio dal concetto di non accettare le libere interpretazioni della Bibbia, ma di tornare al significato letterale. Si può dire anche integralismo, ma il concetto alla base non cambia.
La Chiesa Cattolica ha chiaramente dimostrato che desidera che la sua verità di fede diventi una verità assoluta.
E in più di una occasione ha cercato di imporre questa sua verità, anche con la forza.

Essere battezzati significa essere, anche da un punto di vista legale, subordinati alle gerarchie ecclesiastiche.
Io credo che non si possa tollerare di far parte e dovere obbedienza a un organismo che non rispetta la libertà altrui.
Come non abbraccerei il fondamentalismo islamico, non abbraccio i dettami della Chiesa Cattolica.
Ciò non vuol dire non poter diventare in un futuro cristiana, o non rispettare i cattolici: solo non desidero dovere obbedienza a chi la impone, come se fosse uno stato dittatoriale.

Sono troppi i danni culturali e materiali che la Chiesa Cattolica ha fatto soprattutto all’Italia, e non li elenco qui.
Due anni fa ho detto basta: basta a queste imposizioni. E mi sono sentita più libera.

Una delle tremende eredità culturali che ci ha lasciato la Chiesa è la paura della morte: della morte non si parla, la cerimonia sacra che è riservata alla morte è una cerimonia triste che ci ricorda quanto siamo peccatori e che dobbiamo pentirci prima che capiti anche a noi.
Il cattolicesimo è la cultura del Regno dei Cieli: tutto quello che fai lo fai in funzione dell’aldilà.

Ho sempre vissuto per la morte, non appena ho capito cosa volesse dire davvero. E significa chiedersi, ogni giorno in ogni momento, se quello che si sta facendo avrebbe ancora senso sapendo di morire il giorno dopo.
E no, non vuol dire bruciarsi la vita come un epicureo, ma ridimensionare ogni cosa alla luce del fatto che siamo esseri mortali, finiti, relativi.

Alla mia morte, visto che nessuno mi potrà imporre una cerimonia cattolica, vorrei una festa.
Una gran festa dove ciascuno si possa divertire, dove ricordare quanto ero stordita, e finire sentendosi tutti molto sollevati. Perché io credo che le persone che ci lasciano, come quella E. e tanti altri che muoiono di fame, di guerra, di malattia, o soltanto di vecchiaia, probabilmente sapranno la verità.

Attendo quel giorno, come uno dei tanti che hanno scandito la mia vita.
Lo attendo con curiosità e non ne ho paura. Se per quello che ho fatto o che ho pensato meriterò la fiamme dell’inferno, così sia. Ho sempre vissuto la mia vita prendendomi la responsabilità di quello che penso e quello che faccio, non vedo perché non lo dovrei fare dopo la morte.
Ma questo non mi impedirà di fare quello che il mio pensiero liberamente mi suggerisce come ciò che è giusto, e di continuare a pensare che difendere la libertà altrui sia la scelta più giusta.

In questi giorni mi è tornato in mente più e più volte un brano de I fratelli Karamàzov di Dostoevskij, quello chiamato Il Grande Inquisitore. Nell’invenzione dell’autore, il Cristo è tornato sulla Terra e viene riconosciuto e imprigionato.

Il Grande Inquisitore sta per mandarlo a morte, e gli chiede perché è tornato. Gli dice che l’umanità non ha bisogno della libertà che il Cristo gli ha portato, ha bisogno di essere guidata da un potere forte che gli dica cosa fare, altrimenti non potrà essere felice. In tutto questo, il Cristo non dice una parola, ma quando il Grande Inquisitore conclude il suo discorso lo bacia. Il Grande Inquisitore naturalmente lo manderà comunque a morte.

Credo che sia ancora giusto fare concretamente qualcosa perché le persone continuino ad essere libere.
Credo che le persone che la pensano come me siano ancora tante.
E’ per questo che cercherò di fare quello che posso perché sia così, cominciando dai piccoli gesti.

E se volete partecipare anche voi, ci sono ancora alcune manifestazioni in giro per l’Italia.
Magari non cambierà nulla, non ho certo la pretesa che sia così.
Il problema è che non voglio smettere di crederci.

*Per quanto mi riguarda, la fede sincera è un dono. Credere in qualcosa è come avere una luce che illumina il cammino.
**In questo momento della mia vita, in una in particolare, a cui sono fedele e di cui mi fido. Ma questo è un altro discorso.