Prima di tutto grazie a tutti quelli che mi hanno votato: grazie a voi la riscossa delle bruttine non è andata così male.
Questo ed altre cose (soprattutto alcune persone) mi hanno fatto venire voglia di uscire dalla mia apatia e raccontare alcune delle cose che penso da alcuni giorni.

Voglio essere felice.

Una frase che è condivisibile probabilmente da tutto il resto dell’umanità, ma che per me ha un significato ben preciso.
La mia felicità dipende da me. Ed è arrivata l’ora di ricominciare a fare qualcosa di concreto per farla diventare una realtà.
Le difficoltà sono tante, e molte di queste le condivido con la maggior parte di voi.
Con te, che stai leggendo e anche con tutti quelli che non leggono.

E il modo per essere felici è, prima di tutto, vedere le cose positive che ci circondano.
Significa anche darsi da fare per il proprio futuro.

Nonostante i tentativi per farli passare per violenti, gli studenti che sono scesi in piazza non lo sono.
Sono il concretizzarsi di quello che persone come me hanno sempre sperato: si battono pacificamente e creativamente per migliorare il loro futuro. Sono informati, intelligenti, sono la nostra speranza.
Sono la risposta ai dubbi che abbiamo avuto sempre su di loro: no, non è cresciuta una generazione di veline e tronisti, o almeno non ci sono solo quelli.
Decidere di fuggire, lasciare l’Italia per un paese civile, sempre che lo sia davvero, significa lasciarli soli, lavarsene le mani in favore del proprio personale futuro.
Significa non avere il coraggio di continuare a guardarsi intorno, di cercare di fare del proprio meglio nonostante tutto, e magari aspettare di trovare il momento giusto e la cosa giusta da fare.
Perché le risposte a certe domande non arrivano da un giorno all’altro.
Ce lo chiediamo spesso cosa fare; il fatto di non saperlo ora non vuol dire che non ci sarà modo di fare nulla.
Bisogna continuare a sperare, ci stanno dicendo questi studenti.
Continuare a essere quello che siamo, onesti cittadini, che fanno del loro meglio per far funzionare questo paese, tenendo sempre gli occhi aperti.
Non è facile, grazie al cavolo. Questo è un buon motivo per non farlo?
Datemi pure dell’idealista, perché lo sono e sono fiera di esserlo.
Ma mai prima d’ora avevo visto un segnale così concreto del fatto che in qualche modo c’è ancora qualcosa di buono intorno a noi.

E mi tornano in mente le parole di Calvino.

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.