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Se una notte d’inverno

Non è facile parlare di un autore così multiforme e completo come Italo Calvino.
Mi limiterò dunque a cercare di far capire che cosa ha significato per me e perché consiglio a tutti di leggere le sue opere, attuali e spesso visionarie.
Sono cresciuta a pane e ‘Fiabe Italiané; me le aveva lette e rilette mio padre, fino a saperle a memoria. Ed è grazie alle parole dialettali, magnificamente illustrate nelle note a piè di pagina, che ho imparato ad apprezzare i dialetti, la lingua italiana, l’origine della parole.
Molti conoscono la cosiddetta ‘trilogia degli antenati’: Il visconte dimezzato, Il barone rampante (1957) ed Il cavaliere inesistente (1959); molti lo considerano un ‘classico’ buono per le antologie scolastiche.

Ma Calvino non è solo questo.
Sono passati vent’anni dalla sua morte, e ancora oggi ne ricordo con profondo dispiacere l’annuncio. Ma ricordo bene che all’epoca uscì, incompiuto, ‘Sotto il sole giaguaro’, che mi fece conoscere un aspetto dello scrittore per me inedito: quello dello sperimentatore, molto lontano dall’idea del classico antologico. L’idea era quella di imbastire cinque racconti sui cinque sensi, ma il testo ne contiene soltanto tre. Ho ancora in mente come una magnifica scoperta il racconto sull’olfatto, e sono per sempre debitrice a mio padre, che lo acquistò per me.
Da allora ho iniziato a leggere tutte le sue opere, e, confesso, non ho ancora finito di leggerle tutte.
I miei preferiti, finora, sono Le città invisibili (1972), il dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan che irretisce e completa il racconto sulle città; Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), con la sua trama incredibile che ne fa qualcosa di più e di diverso da un semplice libro, e l’introduzione con la famosissima invocazione al lettore; Palomar (1983), che descrive mirabilmente il carattere di un uomo che potrebbe essere il nostro vicino di casa nevrotico.
Ma il testo a cui sono più legata è Le Cosmicomiche (1965), il lato ‘fantascientifico’ di Calvino, e quello da cui ho tratto il mio nickname, quando quasi dieci anni fa si trattò di sceglierlo la prima volta, a cui sono profondamente affezionata.
Calvino è anche colui che curò tutte le traduzioni dei suoi libri in inglese, e scriveva in inglese tanto bene quanto in italiano; che scrisse anche delle canzoni; è anche l’antifascista che lascio’ il PCI; è anche l’uomo delle Lezioni Americane, onorate dalla rivista ‘Countdown’.

Il 19 settembre 1985 Italo Calvino ci lasciava.
Le parole che porto da sempre nel cuore e con cui lo voglio ricordare sono sempre queste:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

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